< return

Psicosi, necessitá e limiti della diagnosi

“Saper non dir nulla su un punto”, è la preziosa indicazione inerente alla clinica delle psicosi, all’orientamento della cura, che raccogliamo dal Conciliabolo di Angers[i]

A formularla è E. Laurent e ben si presta a rilevare l’importanza che la pratica diagnostica assume nella nostra clinica e a evidenziarne persino la sua necessità.

Come non considerare infatti che tale indicazione trovi il suo presupposto nel concetto di forclusione, con cui Lacan ha situato il meccanismo specifico della psicosi? Possiamo coglierne la ragion d’essere solo in un contesto e in una logica di clinica differenziale, che distingue la forclusione dalla rimozione, in precedenza isolata da Freud nelle nevrosi. Ciò su cui non dire nulla, nel caso della psicosi, è fondamentalmente qualcosa che assume il valore dell’incognita, un punto di godimento denso di mistero. Se il soggetto non può rispondervi facendo ricorso al discorso dell’inconscio può però tentare di realizzare nel transfert la sua “messa in deposito”[ii]

Porre la diagnosi di psicosi orienta pertanto la pratica. Rende avvertito l’analista – anche lì dove i segni indicativi della forclusione non sono così evidenti, per divenire invece discreti, fino a ridursi alla finezza del dettaglio, come nella psicosi ordinaria – rispetto alla necessità di limitare l’azione della verità nel dispositivo analitico. Come rilevato da J.-A. Miller infatti, “anche se questa verità è sempre mendace, essa è di natura tale da far vacillare i sembianti”[iii]; e questo pone l’esigenza di calmierare il suo potere disturbante, di evitare ogni dire in grado di scalzare i sembianti che in un modo o nell’altro, anche molto precario, coprono per un soggetto psicotico un punto enigmatico dell’esperienza. Piuttosto che farli vacillare, sono da preservare, da erigere, da rispettare[iv].

Al tempo stesso però l’indicazione di E. Laurent, si presta altrettanto bene a rilevare i limiti della pratica diagnostica e l’esigenza di spingersi oltre. Poiché una volta posta la questione della psicosi, e in tal modo avvertiti del fatto che c’è almeno un punto su cui non dire nulla, non ci si può certo fermare. Più in là di questo, si pone l’esigenza di entrare nella dimensione singolare del caso per situare con precisione tale punto, per isolare i modi con cui si manifesta, la sua emergenza in rapporto a congiunture ben definite, la sua collocazione dentro coordinate simboliche che sono di quel soggetto lì, della sua storia, e non di un altro. Ma non solo. Ancora, si tratterà di rilevare i modi particolari che il soggetto ha trovato o che deve ancora trovare, le soluzioni sintomatiche che potrà elaborare nel transfert, per annodare questo punto di reale con altri punti del simbolico e dell’immaginario che gli sono propri, al fine di stemperare il suo potere destabilizzante.

 

[i] Laurent, E., in IRMA, Il conciliabolo di Angers. Effetti di sorpresa nelle psicosi, Astrolabio, Roma 1999, p. 163.

[ii] Ibidem, p. 162.

[iii] Miller, J.-A., “Cose di finezza in psicoanalisi”, La Psicoanalisi n. 58, Astrolabio, Roma 2015, p. 192.

[iv] Ibidem.