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Clinica Lacaniana della psicosi

In un precedente lavoro (HARARI, 2006) ho mostrato il percorso di Lacan rispetto alla psicosi, vale a dire, nello specifico, ciò che accadde fra il marchio strutturalista ricevuto da Clérambault e la clinica universale del delirio. In questo percorso, era stato considerato come filo conduttore il concetto non deficitario della psicosi. A partire da questa ottica, il ritiro dell’indice negativo della psicosi lega il percorso di Lacan degli anni 1930, in cui il suo approccio incontra eco nel mezzo surrealista, con l’inversione realizzata negli anni 1970, quando propone la preclusione generalizzata come modello del nucleo reale di ogni sintomo, servendosi della topologia del nodo borromeo per riformulare il concetto di struttura (Harari, 2006).

Per rendere conto dell’ultimo insegnamento di Lacan, James Joyce, eletto a paradigma della sua ultima clinica, ci obbliga ad esaminare ancor più nel dettaglio la psicosi. Il concetto di sinthome coincide con la definizione stabilita per il sintomo psicotico: intersezione fra simbolico e reale fuori dall’immaginario, nella quale un elemento del simbolico, solitario, non inanellato, si sposta fino al registro del reale come lettera.

Quando abbandona la clinica meccanicista, dando preferenza all’approccio non deficitario della psicosi, enfatizzando la clinica universale del delirio, Lacan avrà di mira una pratica della psicoanalisi senza la finzione degli universali, in accordo con “L’ultimissimo insegnamento in cui l’universalizzazione del significante è ciò che impedisce che la singolarità del soggetto sia circoscritta nella parola” (VORUZ, 2017).

Da questo versante, introdurre il tema dell’XI Congresso dell’AMP, approcciare la psicosi ordinaria non senza le altre, ha come obiettivo assumersi lo sforzo continuo di delucidazione della pratica lacaniana che, quando non si tratta di un approccio via casistica o via discussione di una presentazione di malati, o ancora, via l’Insegnamento della passe, esige la dimostrazione dei suoi fondamenti.

Partiremo dalla Conferenza di Rio, di Jacques-Alain Miller, Habeas Corpus, isolando i seguenti riferimenti: l’oggetto a – come apporto e soluzione incontrata da Lacan durante molti anni; l’oggetto a – degradato, come un modello del godimento nel modello significante; e il parlessere per natura. Dal percorso che va dall’oggetto a come l’apporto lacaniano per eccellenza, alla sua degradazione per aprire la via del parlessere per natura (MILLER, 2016).

La clinica lacaniana della psicosi contribuisce allo stesso modo al tema della fine dell’analisi e la psicosi ordinaria rilancia, attraverso una delle soluzioni segnalate da Jacques-Alain Miller, la psicosi in analisi (ANSERMET, 2017).

Prima, le questioni “Come annodare il simbolico, caratterizzato dall’effetto di senso, al reale senza senso?”, “come affrontare la disgiunzione radicale fra il reale come impossibile e il senso?”. Lacan risponde che “l’effetto di senso che il discorso analitico esige non è immaginario o simbolico; è necessario, pertanto, che sia reale” (Lacan, 1974-75).

 

L’effetto di senso ex-siste, e in ciò è reale

Ciò che occorre mettere in evidenza di questa frase di Lacan è che il discorso analitico esige un effetto di senso che sia reale. Da un lato, l’esperienza analitica inizia nel dare senso al sintomo; il cardine dell’azione analitica è l’offerta di senso. Il soggetto dell’inconscio sorge dall’esperienza come soggetto rappresentato nel tra-due significanti di una catena. D’altro lato, poco a poco ciò darà luogo al parlessere, e non si tratta più “di senso, ma di godi-senso” (LACAN, [1973] 2003).

Un effetto di senso che sia reale non si ottiene in modo semplice, né automatico, e a questo punto possiamo partire dal lavoro di J.-A. Miller, di delucidazione dell’insegnamento di Lacan e, più precisamente, dei suoi commenti ne “L’Être et l’Un” (MILLER, 2011), evocando l’evanescenza del soggetto supposto sapere come correlativo del dis-essere. Secondo lui, c’è lo svelamento della negazione dell’essenza e del senso del soggetto supposto sapere. È l’idea di un nodo che si costruisce effettivamente facendo catena con la materia significante, poiché queste catene non sono di senso, ma di godi-senso; s’incontra in “Televisione” (LACAN, [1973] 2003). Ciò spiega perché il termine “soggetto” è sostituito da parlessere, che include il corpo, che è più coerente con la nozione di godimento: “non c’è senso senza godimento, non c’è desiderio senza pulsione, e la radice dell’Altro è l’Uno” (MILLER, 2011). Questo non si accompagna a un nuovo senso per ciò che ha a che fare con la castrazione: ciò che fa cessare gli imbrogli del senso. Il sintomo non si ammorbidisce con del senso, è proprio del godimento resistere al senso. È necessario un utilizzo logico capace di asciugare il senso.

Per Lacan, la relazione dell’effetto di senso con il reale solo inizialmente è di esteriorità, dunque questa esteriorità suppone il nodo proiettato su di una superficie piana; se ci serviamo del nodo è per introdurci alla nozione di ex-sistenza, e dedurre che l’effetto di senso ex-siste, e in ciò è reale. La scissione dell’essere e dell’esistenza porta Lacan a fondare l’Uno che ex-siste di fronte all’Altro (A) che non esiste, dato che il nodo è piano, aggiunge lui, perché pensiamo solo orizzontalmente. Può essere che esista una costruzione la cui consistenza non sia immaginaria, e ciò implica che ci sia un buco, cosa che, da parte sua, ci conduce alla topologia del toro. Nell’ultimissimo insegnamento di Lacan, l’esaltazione del buco ha la funzione di dare esistenza al puro “non esiste”, cosa che aiuta a situarci nello spazio dell’ultrapasse (MILLER, 2011).

Quali sono le incidenze di questo nella pratica? Da questa prospettiva, il vacillamento di senso deve essere ottenuto come un saperci fare [o comunemente detto: saper fare, savoir y faire] con i resti sintomatici. Riprendo qui la proposta di Miller riguardo ai due regimi della passe: quello della verità e quello del sapere. La passe del sinthome come “estensione concettuale del fantasma”, colloca l’accento sulla verità menzognera. Quindi, la verità è menzognera nel confrontarsi con l’irriducibilità del sinthome e fallire nell’assorbimento di questi resti sintomatici. In questo senso, la passe-sapere mette più chiaramente in rilievo i limiti del simbolico.

Parlare della prassi lacaniana deve necessariamente includere l’ultrapasse, così come è stata nominata da Miller. Questa è in relazione all’evento di corpo: è precisamente il godimento che si mantiene al di là della risoluzione del desiderio (MILLER, 2011). I resti sintomatici provenienti dall’assunzione dell’interdetto sono dell’ordine dell’esistenza, differentemente dal desiderio, che è nell’ambito dell’essere.

La rinuncia all’ontologia nella passe è stata inizialmente concepita da Lacan come deflazione del desiderio. Poi lui ha superato questo limite articolando il suo “C’è dell’Uno”. In questo modo inaugura il primato dell’Uno a scapito del primato dell’Altro della parola, la quale è necessaria per il riconoscimento del senso. Da questo momento, il corpo appare come Altro rispetto al significante. (MILLER, 2011)

Con il sinthome, facciamo pendere l’ago della bilancia a favore del campo esistenziale; Lacan ci porta lì quando rinuncia alla sua ontologia, che era retta dalle nozioni di essere e di “mancanza-ad-essere”; il confronto con i limiti del simbolico ha portato Lacan a considerare in modo diverso il reale in gioco nell’esperienza analitica.

La passe secondo il regime della verità “evoca piuttosto che una dimostrazione di sapere, una soddisfazione, un’esperienza di soddisfazione”. (MILLER, 2011). Comunque, oltre la nomina al titolo di AE, è il rapporto al buco, come segnala Miller, ciò che si trova nell’ambito del reale. Pertanto, è lo spazio dell’ultrapasse, nel quale il soggetto parla per se stesso, senza una comunicazione possibile, ciò che rende la praxis lacaniana della passe un reale ex-sistenziale.

Riprenderemo un punto del testo Habeas Corpus (MILLER, 2016), nell’ultimo paragrafo della sezione Giro (tournant) Lacaniano, quando afferma che questo giro solo si concluderà nel Seminario 20 (LACAN, [1972/3] 1985), momento in cui Lacan realizza una forzatura per degradare l’oggetto a, collocandolo come un falso sembiante.

 

Una modellazione del godimento nel modello del significante

Secondo Miller, il sapere sul godimento forse sia l’unico sapere psicoanalitico che abbiamo sulla vita, su ciò che è l’essere vivente. Aggiunge che ‘godere’ del corpo vivo sarebbe tutto ciò che possiamo sapere (MILLER, 2004). Per sostenere questo egli si basa su Lacan, quando dice che “(…) non sappiamo cosa vuol dire essere vivi, ma solo sappiamo questo, che un corpo, esso gode” (LACAN [1972/3] 1985).

Il rapporto del significante con il corpo è diverso all’inizio dell’insegnamento di Lacan, con la tesi secondo cui il linguaggio è corpo; lì il corpo è inteso come la materialità della parola e del linguaggio. Il corpo in quanto sostanza godente, che viene introdotto nella decade del ‘70, riguarda il corpo vivente, la sostanza del corpo in quanto c’è godimento del corpo: “Esso solo si gode corporizzandolo in maniera significante” (LACAN, [1972/3] 1985).

Possiamo affermare che si produce una conversione di prospettiva solo quando Lacan comincia a collocare il significante a livello della sostanza godente: “Il significante è la causa del godimento. Senza il significante, come avvicinare quella parte del corpo? “(LACAN, [1972/3] 1985).

Inizialmente in Lacan la materialità del significante è inanimata, materialità del linguaggio, e anche la soddisfazione appartiene al simbolico: l’elaborazione di un soddisfacimento semantico. Un godimento, senza il corpo vivo, ha un soddisfacimento significante: la soddisfazione attraverso il riconoscimento, preso in prestito dalla fenomenologia di Hegel (MILLER, 2004).

Concepire che sarebbe possibile un soddisfacimento significante della pulsione è il modo in cui Lacan fa diventare simbolica la pulsione freudiana, in solidarietà con la nozione di corpo mortificato. Ma non si tratta del significante della sostanza godente, quello che diventa corpo, ritagliando il corpo finché fa sorgere il godimento.

Lacan introduce due versanti: quello del corpo vivo e quello del soggetto dell’inconscio. Dalla riunione di questi due versanti, da questo binario, fa sorgere il parlessere (MILLER, 2004), e lo fa postulando la ‘sua’ ipotesi: “La mia ipotesi è che l’individuo che è affetto dall’inconscio è lo stesso che costituisce ciò che chiamo soggetto di un significante “(LACAN, [1972/3] 1985).

 

L’oggetto a “naturale”

Fino al Seminario 10, L’angoscia, solo si conosceva il corpo come essenzialmente implicato nella formazione dell’io, il corpo visivo. Possiamo affermare che il corpo che ingressa, secondo il modo dell’oggetto a, nella costituzione del proprio soggetto dell’inconscio, è il corpo erogeno, il corpo delle zone erogene, delle zone di bordo, senza limite, sovrapponendosi al corpo dell’Altro (MILLER, 2005).

Per Lacan, il segnale, termine che Freud ha attribuito all’angoscia, è diverso dalla situazione traumatica. L’originalità del suo contributo sta nel fatto di aver enunciato con maggiore precisione che ciò che Freud riferisce come il pericolo segnalato dall’angoscia è collegato al carattere cedibile del momento costitutivo dell’oggetto a, l’angoscia-segnale.

Se, da un lato, il pericolo indica l’oggetto caratteristicamente cedibile, dall’altro, segnala che l’angoscia non è un messaggio. Questa separazione dell’oggetto incide sul corpo libidico, che non è il corpo visivo, che implica il corpo dell’Altro.

Il carattere cedibile caratterizza l’oggetto a e Lacan fa dell’angoscia un operatore della separazione, per ciò essa non è un messaggio, è un affetto unico.

E, d’altra parte, in un’intervista a una rivista italiana, rispondendo alla questione su cosa sia l’angoscia per la psicoanalisi, egli dirà: “È qualcosa che si situa al di fuori del corpo, una paura, ma niente che il corpo, compreso lo spirito, possa motivare. È la paura della paura, in somma”(LACAN, 1974).

Dal 1963 al 1974, dal Seminario 10 all’intervista, c’è un percorso dell’oggetto a nell’insegnamento di Lacan, dal suo emergere come pura estrazione corporea fino alla sua sofisticata forma di pura consistenza logica. Per consentirci di intendere meglio questo avanzamento, J-A Miller (Miller, 2005) osserva che pur essendo pura estrazione corporea, la fisiologia dell’oggetto a si sviluppa, cioè, l’oggetto a, sotto il significante della topologia, ha una consistenza topologica, a partire dal momento in cui emerge (MILLER, 2005).

Il tentativo è quello di mettere in tensione il versante topologico e quello riguardante l’estrazione corporea dell’oggetto a nel Seminario 10, una volta che le posizioni dell’angoscia e quella dell’oggetto a sono intercambiabili. (LACAN, [1962-63] 2005) Perciò è importante individuare nel Seminario 10 [1962/63] quale sia il luogo di taglio da cui emerge l’oggetto a.

Nel capitolo IX abbiamo:

Il taglio che c’interessa, quello che lascia il suo tratto in un certo numero di fenomeni riconoscibili clinicamente e che però, non possiamo evitare, è un taglio che grazie a Dio, è molto più soddisfacente per la nostra concezione di scissione di quello della nascita del bambino, nel momento in cui viene al mondo.

Scissione da che cosa? Dagli involucri embrionari.

È sufficiente cercare in qualsiasi libro di embriologia pubblicato meno di cento anni fa, per poter percepire e avere un’idea completa del insieme pre-speculare che è l’a, dovreste considerare gli involucri come un elemento del corpo del bambino. Gli involucri si differenziano a partire dell’ovulo e vedrete che lo fanno, in una maniera curiosa – mi affido molto alle vostre conoscenze dopo i lavori dell’anno scorso in torno al cross-cap. (LACAN, (1962-63) 2005).

Sebbene qui il riferimento sia il corpo, più precisamente il corpo dell’embriologia, il taglio o il momento cedibile, non si confondono con nessuna sostanza. Gli involucri a partire dall’ovulo, che si differenziano con delle forme curiose, si avvicinano di più alla topologia, cioè a una forma più vuota.

Nell’ultimo capitolo, Lacan ritorna su questo quando si riferisce al marchio di a, in relazione con il momento di costituzione, e propone il grido come qualcosa che il poppante cede: “Lui cede qualcosa, e niente lo connette più a ciò”. (LACAN, (1962-63) 2005). Grido che coincide con l’emergenza nel mondo di colui che diverrà il soggetto. Lacan affermerà che il grido è il midollo stesso del grande Altro, il punto di partenza del primo effetto cedibile.

Freud ha scelto l’angoscia come segnale di qualcosa. Lacan, dal suo canto, parla dell’aspirazione propria del poppante come un momento di pericolo: “È questo che è stato chiamato il trauma della nascita – non esiste altro – il trauma della nascita non è la separazione dalla madre ma la propria aspirazione di un mezzo intrinsecamente Altro”. (LACAN, (1962-63) 2005).

Tanto la scissione degli involucri quanto il grido, sono esempi di momenti cedibili nella costituzione dell’oggetto a, esempi che promuovono lo snaturamento e la perdita di sostanza dell’oggetto a. Non è casuale che l’esempio di separazione dell’oggetto a sia stato il prepuzio nella circoncisione, chiaro esempio di una pratica culturale. Il piccolo a si fa così, quando si produce il taglio del cordone ombelicale o quando si tratta della circoncisione. (LACAN, (1962-63) 2005).

Disunire la funzione dell’oggetto e la sua sostanza, permette d’intravedere la struttura del più di godere sotto la forma dell’oggetto che la pulsione contorna, la presenza di un vuoto, di una vacuità che può essere occupata da qualsiasi oggetto.

Per Miller: “Il Seminario X è la via di accesso all’oggetto a come niente. È l’oggetto niente che può farsi causa dell’atto, atto che sempre comporta un momento di suicidio, un momento di morte del soggetto.” (MILLER 2004). L’oggetto a snaturato, topologico, permetterà all’analista d’iscriversi nella stessa serie dell’oggetto a niente.

Anche se abbiamo affermato lo snaturamento dell’oggetto a topologico, constatiamo che Lacan è ancora preso dalla separazione tra inconscio e pulsione, presente dall’inizio del suo insegnamento. Nella Conferenza di Rio, Miller afferma: “L’oggetto a, forma parte dell’armatura del fantasma e al contempo è nel midollo della pulsione e ha alcune proprietà significanti. In particolare, si presenta per mezzo di unità, è contabile e numerabile, perciò, è già un godimento.

Se è più-di-godere, è un più-di-godere che è già un degrado (dégradé) del godimento, un modello di godimento nel modello del significante (MILLER 2016).

 

“Parlessere per natura”

L’ultimo insegnamento confronta il corpo vivo con il corpo morto, mette in questione il termine di soggetto come mancanza-ad-essere, sostituendolo con parlessere, il soggetto più il corpo. In questo modo anche il concetto dell’Altro è messo in questione. L’Altro lì è rappresentato da un corpo vivo.

Esiste un paradosso inevitabile del corpo umano: essere vivo e allo stesso tempo parlante. Sebbene l’uomo sia corporeo, egli è anche fatto soggetto dal significante, dalla mancanza-ad-essere. Per l’essere umano non è possibile fare equivalere l’essere e il corpo, ma per l’animale questo è possibile. Ragion per cui Lacan afferma che l’uomo “ha un corpo”, che vale nella sua differenza in rapporto con “essere un corpo”. La mancanza -ad-essere divide il suo essere e il suo corpo, riducendo quest’ultimo allo statuto dell’avere. (MILLER 2004).

Nel contesto del 1975, Lacan si è molto dedicato alla lettura dei libri di Joyce e di altri autori che hanno commentato la sua opera, riprendendo la nozione di corpo immaginario estratto dai nodi borromei: “Nel fare così, introduco una novità che rende conto non solo dei limiti del sintomo ma di ciò che fa sì che, per il fatto di annodarsi al corpo, cioè, all’immaginario, per annodarsi anche al reale e, come terzo, all’inconscio, il sintomo abbia i suoi limiti” (LACAN, (1975-76) 2007).

Nel riprendere l’antica graffia di sinthome, in francese, Lacan caratterizza il parlessere dicendo: “allo stesso tempo in cui è preciso sostenere che l’uomo ha un corpo, cioè, che parla con il suo corpo, in altre parole, che è parlessere  (…)” e definisce il sintomo come un evento di corpo (LACAN, (1975) 2003).

Nel corso del suo insegnamento Lacan rende corporee le principali funzioni significanti da lui isolate, in questo senso mette in dubbio la consistenza puramente logica della funzione dell’Altro (MILLER 2004). Nel corporizzare al grande Altro introduce il corpo del partner parlante dicendo: “Una donna, per esempio, è sintomo di un altro corpo” (LACAN, (1975) 2003).

Possiamo vedere che il concetto di parlessere (MILLER, 2016) “si sostiene sull’equivalenza originaria inconscio-pulsione”. Nel versante del puro godimento inconscio Lacan ha forgiato questo neologismo.

Eric Laurent, da parte sua, nel suo libro Il rovescio della biopolitica fa una lettura di Joyce e sottolinea la frase in cui Lacan propone l’accesso al suo parlessere per natura. Intendendo che l’equivalenza tra “avere un corpo” e “parlare con il corpo” comporta la seguente deduzione: avere un corpo significa parlare con il corpo al punto tale che l’uomo parlessere. E aggiunge che il fatto che l’uomo abbia un corpo, ha dei corollari esigenti che convertono il dispositivo installato da Joyce nel centro della tensione tra arte e natura.

La tensione arte-natura caratterizza Joyce, il suo progetto di arte non passa né attraverso il naturalismo, né attraverso il simbolismo, tematiche che nutrono il dibattito della fine del XX secolo. Opporre natura e arte ha l’intuizione di riconciliarle nel parlessere per natura. (LAURENT, 2016).

In questo lavoro ho riunito riferimenti della clinica della psicosi e, tra queste, la degradazione dell’oggetto a come falso sembiante è centrale. Troviamo il commento di Jacques-Alain Miller su questo momento dell’insegnamento di Lacan in due conferenze tenutesi a Rio (21 anni d’intervallo), quella del 1995 “L’immagine-Regina” e quella del 2016 “Habeas Corpus”.

Tra l’eresia e l’ortodossia, tra il senso comune e l’ortodossia, tra il significante padrone e l’oggetto a, la scelta di Lacan per l’a si traduce con la prevalenza dell’eresia in detrimento dell’ortodossia (MILLER 8 luglio 2017).

Il luogo che Lacan ha dato alle psicosi, escludendo il periodo della loro definizione a partire dalla forclusione del Nome-del-Padre, pende verso l’idea di una scelta originaria (MILLER 8 luglio 2017).

Proporre il sintagma della psicosi ordinaria scrive una pratica fondata sulla ricerca della singolarità disgiunta da qualsiasi universale, come scelta forzata infrangibile, unica forma di far entrare la psicosi in analisi.

 

Traduzione: Maria Laura Tack

 

Bibliografia

 

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Traduzione: Stefano Avedano, Isabel Capelli y Silvia Cimarelli