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Habeas corpus

Due anni fa, a Parigi, ho girato la bussola, la bussola dell’Associazione mondiale di psicoanalisi, affinché ci indicasse la direzione dell’ultimo insegnamento di Lacan. Ecco che cosa è servito da orientamento per il nostro X congresso. Per il titolo mi sono ispirato dalla frase con cui termina uno dei capitoli del Seminario XX : “Il reale, […] è il mistero del corpo parlante, è il mistero dell’inconscio”1. Di conseguenza avevo proposto come soggetto “L’inconscio e il corpo parlante”.

Credo che possiamo constatare invece che il bagliore del corpo abbia avuto il sopravvento sul tema dell’inconscio. La cosa nuova che ci era apparsa era il fatto di sviluppare il tema del corpo parlante. Salvo errori da parte mia, la presenza del termine “inconscio” è passata in questo congresso del tutto in secondo piano. Direi che è stato bene così, poiché ci ha fatto entrare nel tema con entusiasmo. Colgo qui l’occasione di presentare qualche puntualizzazione per chiarire la natura dell’ultimo insegnamento di Lacan, il posto che questo occupa nell’insieme e nella traiettoria del suo insegnamento e l’uso che oggi possiamo farne . Quindi, prima di proporre un nuovo titolo per Barcellona, attendo – al momento, infatti, non è stata presa alcuna decisione in merito.

Il logico puro

Tempo fa ho partecipato a un convegno in cui venivano presi in considerazione i rapporti tra Lacan e la matematica. Vi partecipavano psicoanalisti e matematici. Avevo dato come titolo al mio intervento “Un sogno di Lacan”2. Quale sogno? Trattavo come un sogno il desiderio di Lacan di associare la psicoanalisi non solo con la linguistica strutturale ma con la matematica, e in modo particolare con la logica matematica. Era forse un sogno solamente di Lacan? No. Una generazione intera, la generazione strutturalista, docenti e allievi, ha creduto a questo sogno. Vi ricordo, per esempio, le aspettative riposte da Roland Barthes nella semiologia strutturalista.

Per inquadrare le cose darò una formula che riassume il sogno di Lacan. La formula è passata inosservata poiché appare solo nel testo di quarta di copertina degli Ecrits.3 In questo testo, che è l’ultimo scritto per la pubblicazione del suo libro, una frase indica che Lacan credeva di aver dimostrato che “l’inconscio è dell’ambito del logico puro”. Facciamo attenzione alla traduzione: sarà forse più facile da tradurre se si dice che l’inconscio esaminato con precisione è costituito solo da elementi di pura logica. L’aggettivo “puro” sta a sottolineare che, secondo Lacan, il Lacan degli Scritti, l’inconscio è unicamente una faccenda di logica. Logica che, alla fine del volume, arriva perfino a dominare la linguistica. L’espressione Il logico puro giustifica il fatto che si parli di “soggetto dell’inconscio” e non già di “uomo”.

Etica

Il soggetto dell’inconscio, il soggetto di cui parla Lacan, quello che egli scrive con una $, di per sé non ha un corpo. Il corpo infatti non compete al “logico puro”. Il soggetto ha una dimensione ontologica: il che vuol dire che non è un essente, non ha manifestazioni fisiche determinate. Non appartiene alla dimensione ontica. Non posso qui ripercorrere la distinzione essenziale in filosofia tra l’ontologico e l’ontico. Vi faccio solo accenno4. Il soggetto ha una dimensione ontologica proprio per il fatto di non avere manifestazioni fisiche. Quando ha una manifestazione fisica, un’entità concerne l’ontico e non l’ontologico. Del resto, proprio per il fatto che il soggetto dell’inconscio ha una dimensione ontologica può introdursi la tematica della credenza, come ci ha mostrato la sequenza degli interventi di Graciela Brodsky e di Jorge Forbes5.

Ricordiamoci che fin dal Seminario XI, dedicato ai quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Lacan affermava che la realtà dell’inconscio è etica6. In altre parole, egli sottolineava che la realtà dell’inconscio è dell’ambito di un dover essere. Non si può constatare la realtà dell’inconscio come avviene con una manifestazione fisica. Noi constatiamo questa dimensione etica ogni volta che inizia un’analisi – in colui che viene a domandare un’analisi cerchiamo di valutare se sia presente la volontà di non essere indifferente al fenomeno freudiano. Qualcuno può anche dire «Niente da fare… non spero niente se racconto e cerco di dare un senso ai miei sogni». È del tutto legittimo. Occorre che all’origine ci sia invece un soggetto deciso a non essere indifferente al fenomeno freudiano.

Considero che la formula che in qualche modo conclude gli Ecrits, «l’inconscient relève du logique pur», guidi la traiettoria di Lacan fino al suo ultimo insegnamento. Lì si opera una cesura. Non dico una rottura, poiché le trasformazioni concettuali di Lacan – quando muove il suo armamentario, aggiunge degli elementi – sono sempre levigate, diventano lisce, come delle distorsioni topologiche, in continuità.

Corpo parlante

L’ultimo insegnamento inizia quanto Lacan rinnega, rinuncia, abiura la formula “l’inconscio è dell’ambito del logico puro”, formula che sembrava costitutiva del lacanesimo. Formula che è rimpiazzata da un’altra che non è detta, ma che posso far apparire: l’inconscio rientra nel campo del corpo parlante.

Lacan dota di un corpo il soggetto dell’inconscio, ed è per questo che non si tratta più del soggetto dell’inconscio. Lacan dice “l’uomo”, semplicemente7. Anche Spinoza, per esempio, lo dice in questo modo8. È essenziale cogliere un primo punto: l’uomo, diversamente dal soggetto, ha un corpo. In secondo luogo, questo corpo è parlante – come indica il titolo del convegno. In terzo luogo, a parlare non è il corpo. Il corpo non parla di sua iniziativa. È sempre l’uomo che parla con il suo corpo9. Con: è una preposizione che Lacan ama e a cui dà un senso preciso, quello della strumentazione.

L’uomo si serve del corpo per parlare. La formula del corpo parlante non è fatta dunque per aprire la porta alla parola del corpo. Apre la porta all’uomo in quanto egli si serve del corpo per parlare. E, in effetti, Lacan non includeva questa dimensione nell’inconscio così come figura negli Scritti.

C’è del resto un topos lacaniano, un riferimento che Lacan fa frequentemente a un passo di Aristotele. Nel suo De Anima10, Aristotele sottolinea – e Lacan approva – che non è l’anima che pensa, ma è l’uomo che pensa con la sua anima11. Parallelamente, l’uomo parla con il proprio corpo. Il corpo è il suo strumento per parlare.

Inconscio e pulsione

La parola passa per il corpo e, di ritorno, la parola colpisce il corpo, che ne è l’emittente. In che modo, sotto quale forma, la parola colpisce questo corpo che ne è l’emittente? Essa lo colpisce sotto forma di fenomeni di risonanza e di eco. La risonanza, l’eco della parola nel corpo12 sono il reale – il reale al contempo di quello che Freud ha chiamato «inconscio» e «pulsione». In questo senso, l’inconscio e il corpo parlante sono un solo e medesimo reale. Lo ripeterò per non farvi sfuggire questa essenziale puntualizzazione. C’è equivalenza tra inconscio e pulsione nella misura in cui questi due termini hanno un’origine comune che è l’effetto della parola nel corpo, gli affetti somatici della lingua, de lalingua.

L’inconscio in questione non è quindi un inconscio di pura logica ma, se possiamo dire così, un inconscio di puro godimento. Per designare questo nuovo inconscio, Lacan ha forgiato un termine nuovo, un neologismo che comincia a diffondersi, il parlessere, ben distinto dall’inconscio freudiano che è di ordine ontologico ed etico, come abbiamo visto. Al contrario, il parlessere è un’entità ontica, poiché si tratta di un’entità che ha necessariamente un corpo, dato che non c’è godimento senza corpo. Il concetto di parlessere – è quanto vi propongo – poggia sull’equivalenza originaria inconscio-pulsione.

Si tratta quindi di un inconscio diverso dall’inconscio freudiano, cosa che offre a Lacan l’occasione di una profezia: un giorno il parlessere lacaniano sostituirà l’inconscio freudiano13. È una profezia che non è del tutto seria. Lacan sapeva che i nomi tradizionali hanno il potere di rimanere, di resistere, ed è difficile porvi fine. Tuttavia egli indica qui di aver oltrepassato i limiti che Freud assegna all’inconscio, poiché laddove egli pone la sua misura scompare la differenza, il binarismo tra inconscio e pulsione. Non si può affermare che l’ultimo insegnamento prolunghi la traiettoria di Lacan. Questo segna invece un ribaltamento, un capovolgimento abbinato a una critica della vasta architettura formata dalla sua precedente concettualizzazione.

Questo capovolgimento di Lacan ne ha provocato un altro, più evidente, che ha meravigliato la generazione strutturalista (almeno quella francese, dato che essa era già molto più vasta): quello di Roland Barthes. Tutti, a Parigi, rimasero stupefatti che colui che era conosciuto come il promotore di una semiologia metodica si fosse reso autore di un opuscolo dal titolo Le Plaisir du texte14. Qui venne decifrato un sensazionale rovesciamento in direzione di un edonismo rimasto fino ad allora discreto. Avendo fatto parte dei «giovani» all’epoca della generazione strutturalista, posso dire che Barthes era stato sensibile al nuovo accento posto da Lacan sul godimento e che dal canto proprio ne aveva tratto le sue conseguenze. Il libro avrebbe dovuto avere come titolo La jouissance du texte, ma questo avrebbe di colpo svelato l’influenza di Lacan, influenza dove Barthes aveva trovato la propria ispirazione.

Dal linguaggio alla lingua

Mi viene alla mente un’altra analogia. Due dei filosofi maggiori del XX secolo hanno conosciuto dei rovesciamenti al momento del loro ultimo insegnamento – si potrebbe fare un catalogo dei pensatori a rovesciamento: Martin Heidegger, il quale parla esplicitamente della Kehre, della svolta del suo pensiero, e Ludwig Wittgenstein. Lascio da parte Heidegger per dire una parola su Wittgenstein.

Wittgenstein ha sviluppato due filosofie, ben distinte. La prima faceva del logicismo di Bertrand Russell il principio di una concezione del mondo. Adottando la formula lacaniana, diremo che il mondo della prima filosofia di Wittgenstein rientrava nell’ambito della logica pura così come lui la concepiva. Questa filosofia è presentata nel celebre Tractatus logico-philosophicus15 – si potrebbe dire che gli Scritti sono un tractatus logico-psychoanalyticus. Dopo il Tractatus…, Wittgenstein farà una virata. Criticando e abbandonando il modello della logica pura, egli mostrerà che ciò che è logico dipende dalla vita e dai costumi di un gruppo. Ciò che è logico non è nient’altro che un gioco di linguaggio. Prima del Tractatus…, Wittgenstein credeva dunque a una logica unica. In seguito mostra che ci sono tante logiche quanti sono «i giochi di linguaggio» e le forme di vita16.

Mutatis mutandis, in Lacan c’è lo stesso scarto tra, in primo luogo, come un linguaggio e, in secondo luogo, la lingua. In primo luogo, il fatto che l’inconscio sia strutturato come un linguaggio indica che la struttura è la stessa per ogni linguaggio. Come un linguaggio è in realtà un universale della struttura. In secondo luogo, al contrario, la lingua è sempre particolare17, essa consiste unicamente nelle sue particolarità. Di conseguenza, non c’è un universale delle lingue, non c’è tutte le lingue.

La svolta lacaniana

Cerchiamo di precisare quale è stata la svolta lacaniana. L’orientamento iniziale di Lacan fu quello di scomporre l’eredità freudiana. Del resto è quello che, dal canto proprio, facevano anche gli Americani e gli Inglesi, quello che faceva l’IPA. Costoro scomponevano Freud tra la prima e la seconda topica. Avevano scelto di seguire la seconda topica abbandonando la prima. L’operazione di Lacan era più complessa, ma si tratta ugualmente di un’operazione di divisione che consiste nel separare in modo netto, come si esprime nel suo «Discorso di Roma», la tecnica di deciframento dell’inconscio e la teoria della pulsioni18. In altri termini, Lacan era alla ricerca di una separazione netta tra inconscio e pulsioni. È scritto a caratteri cubitali: l’orientamento del suo primo movimento è questa separazione. Lacan era interessato a elaborare il deciframento – cioè a fare la teoria di questa tecnica aiutandosi con la linguistica. Per lui, le pulsioni, la soddisfazione pulsionale, il godimento facevano allora parte dell’immaginario, il simbolico intervenendo con la parola solo per padroneggiare e cancellare.

Possiamo rifarci all’esempio canonico del fort-da dove Lacan mostra come in partenza il soggetto del significante domini il godimento, si faccia padrone del godimento. Che cosa possiamo dire dal punto di vista dell’ultimo insegnamento? Che, al contrario, il fort-da ci mostra che al principio stesso della catena significante c’è il godi-senso19. La coppia fort-da compie un effetto di senso e permette di effettuare una produzione di godimento. In fondo, il fort-da mostra il bambino che accede al parlessere, accede al suo “parlessere di natura” 20.

In diversi corsi ho precisato in dettaglio gli sforzi fatti da Lacan per modellare la pulsione sulla catena significante; ho mostrato che il principio del grafo di Lacan, il grafo del desiderio, consiste nell’identificare la pulsione con una catena significante, al piano superiore del grafo con il suo tesoro dei significanti e il suo punto di capitone S(A/sbarrato). Vale a dire una scrittura della pulsione come se fosse unicamente una catena significante, come se avesse la stessa struttura della catena significante.

La grande soluzione trovata da Lacan per parecchi anni è stata l’oggetto a – di cui aveva fatto la sua maggiore invenzione. L’oggetto a è al contempo parte dell’armatura del fantasma, è al cuore della pulsione e ha alcune proprietà del significante. Per la precisione, si presenta tramite unità, lo si può contare e numerare, si tratta quindi già di un godimento. Se è plusgodere è già una degradazione del godimento, un modellare il godimento a mo’ di significante.

La svolta si compirà solo quando Lacan farà saltare questo catenaccio, nel Seminario XX, dove lo vediamo degradare l’oggetto a come un falso-sembiante. 21

 

* Intervento pronunciato da J.-A. Miller in occasione della chiusura del X congresso dell’Associazione mondiale di psicoanalisi, « Il corpo parlante. Sull’inconscio nel XXI secolo », Rio de Janeiro, 25-28 aprile 2016. In questa sequenza, intitolata « Da Rio a Barcellona », sono intervenuti anche Miquel Bassols e Guy Briole. Versione stabilita da Guy Briole, Hervé Damase, Pascale Fari e Ève Miller-Rose. Testo non riletto dall’autore e pubblicato con la sua amabile autorizzazione.

 

  1. Lacan J., Il Seminario, libro XX, Ancora, testo stabilito da J.-A. Miller, Einaudi, Torino, 2011, p. 215.
  2. Miller J.-A., « Un rêve de Lacan », in Le réel en mathématiques : psychanalyse et mathématiques, actes du colloque de Cerisy du 3 au 10 septembre 1999, ouvrage collectif s/dir. Pierre Cartier et Nathalie Charraud, Paris, Agalma / Seuil, 2004; trad. it. “Un sogno di Lacan”, Attualità lacaniana, n. 5, 2006, pp. 7-27.
  3. Lacan J., “Quatrième de couverture”, Écrits, Paris, Seuil, 1966. Questa quarta di copertina è stata omessa nell’edizione italiana. Il passo suona così: “l’inconscient relève du logique pur”.
  4. Cf. in particolare Miller J.-A., « L’orientation lacanienne. L’Être et l’Un », insegnamento pronunciato al Dipartimento di psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII, 2011, inedito; la traduzione italiana del Corso registrato e non rivisto dall’Autore si trova ne La Psicoanalisi 51, 52, 53-54, 55, 56-57, 2012-2015.
  5. Questi due interventi costituivano il corpo di una sequenza dal titolo « Farsi zimbello di un reale : che vuol dire “credere al sinthomo” ? ».
  6. Cf. Lacan J., Il Seminario, libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, testo stabilito da J.-A. Miller, Einaudi, Torino, 2003, in particolare pp. 32-34.
  7. Cf. Lacan J., Il Seminario, libro XX, Ancora, cit. Cf. inoltre Lacan J., « Joyce il Sintomo », Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 557 ss., dove Lacan utilizza la scrittura « LOM ».
  8. Baruch Spinoza, L’Etica, libro II, in Tutte le Opere, Bompiani, Milano, 2010. Cf. inoltre il commento di J.-A Miller in « L’orientation lacanienne. Pièces détachées », lezione del 1 dicembre 2004, La Cause freudienne, n° 61, 2005, p.131-138, trad. it. Pezzi staccati, Astrolabio Roma, 2006, p. 34-43.
  9. Cf. Lacan J., Il Seminario, libro XX, Ancora, cit., p. 114 : « Parlo con il mio corpo, senza saperlo. »
  10. Cf. Aristotele, « Dell’anima », in Opere, vol. 4, Laterza, Roma-Bari, 2007.
  11. Cf. Lacan J., Il Seminario, libro XX, Ancora, cit., p. 105 : « l’uomo pensa con – strumento – la sua anima ». Cf. inoltre Lacan J., « Joyce il Sintomo », op. cit., p. 558.
  12. Cf. Lacan J., Il Seminario, libro XXIII, Il Sinthomo, testo stabilito da J.-A. Miller, Astrolabio, Roma, 2006, p. 17 : « le pulsioni sono l’eco nel corpo del fatto che ci sia un dire ».
  13. Lacan J., « Joyce il Sintomo », cit., p. 565 : « la mia espressione di parlessere […] si sostituirà all’ICS di Freud (si legga : inconscio) ».
  14. Barthes R., Il Piacere del testo, Einaudi, Torino, 1975.
  15. Cf. Wittgenstein L., Tractatus logico-philosophicus [1921], Einaudi, Torino, 2009.
  16. Cf. Wittgenstein L., Ricerche filosofiche [1945], Einaudi, Torino, 2009.
  17. Cf. tra l’altro Lacan J., « Radiofonia », Altri scritti, op. cit., p. 408.
  18. Cf. Lacan J. : « Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi », Scritti, cit., p. 254
  19. « Discorso di Roma », Altri scritti, cit., p. 137-141.
  20. Cf. Lacan J., « Televisione », Altri scritti, cit., p. 512.
  21. Lacan J., « Joyce il Sintomo », cit., p. 558.