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Il godimento di lalingua e il discorso

Lacan nel Seminario III[i] afferma che prima di formulare la diagnosi di psicosi è imprescindibile che vi sia la presenza di disturbi del linguaggio. Senza dubbio l’insegnamento di Lacan ha attraversato differenti momenti e si può affermare che l’argomento lo preoccupò sempre in tutta la sua ampiezza: linguaggio, discorso e scrittura come costanti han assunto distinte sfumature. Tuttavia, c’è qualcosa che si mantiene dall’inizio, un punto freudiano preso presto da Guiraud e da Lacan, in parole di oggi: il godimento della lalingua e il discorso.

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Jacques Lacan come psichiatra s’interessò del linguaggio e della scrittura[ii] nella psicosi. La psichiatria francese in quel momento si occupava della relazione tra linguaggio e follia per reperire una nuova prospettiva diagnostica che consentisse di trovare il suo meccanismo. Si trattava di una riflessione fenomenologica e di una causalità organica.

In Discorso sulla causalità psichica Lacan segnala che il problema della follia non può separarsi dal linguaggio, dalla parola come nodo di significazione. Si tratta di un’articolazione della struttura psichica con la struttura del linguaggio presa a partire dalla significazione.

“Impegnamoci su questa via per studiare le significazioni della follia, secondo l’invito che ci rivolgono i modi originali che il linguaggio mostra in essa: quelle allusioni verbali, quelle relazioni cabalistiche, quei giochi d’omonimia, quei bisticci di parole che hanno attirato l’esame di un Guirad, -e dirò anche: quell’accento di singolarità di cui dobbiamo saper intendere la risonanza in una parola per individuare il delirio, quella trasfigurazione del termine nell’ineffabile intenzione, quella fissazione dell’idea nel semantema (che precisamente in questo caso tende a degradarsi in segno), quegli ibridi del vocabolario, quel cancro verbale del neologismo, quell’impaniamento della sintassi, quella duplicità dell’enunciazione, ma anche quella coerenza che equivale ad una logica, quella caratteristica che, dall’unità di uno stile alle stereotipie, segna ogni forma di delirio, tutto questo è ciò con cui l’alienato, con la parola o la penna, si comunica a noi”.[iii]

Si tratta di un paragrafo che richiede di essere studiato in profondità. Il riferimento a Guiraud è del testo “Les formes verbales de l’interpretation délirant[iv] che era già stato citato da Lacan nella sua tesi. Nello scritto Discorso sulla causalità psichica Lacan aggiunge alle variabili di Guiraud le difficoltà con la sintassi e la duplicità dell’enunciazione, ciò che indica quelli che saranno i percorsi posteriori e lo ubica nel quadro della comunicazione.

Per Guiraud le forme verbali dell’interpretazione delirante dovevano essere abbordate dal punto di vista della clinica e del meccanismo psicologico. Clinicamente formula le seguenti varietà: allucinazioni verbali, relazioni cabalistiche, omonimie, gioco di parole. Rispetto al meccanismo psicologico cerca di posizionare quelli che formano le interpretazioni verbali. Stabilisce la differenza tra le interpretazioni con giustificazione logica, che hanno certe analogie con alcune teorie parascientifiche, e le interpretazioni senza giustificazione logica.

Nel primo gruppo si osservano le seguenti caratteristiche: la polarizzazione dell’associazione di parole sul lato affettivo; la perdita localizzata del senso critico; un saggio di armonizzazione tra la nuova certezza affettiva e l’intelligenza.

Nel secondo si tratta d’interpretatori verbali che non costruiscono alcun sistema. Il linguaggio diviene sillogistico ma non vi è dietro alcuna sistematicità ma piuttosto la certezza dell’evidenza.

Senza dubbio l’influenza freudiana si presentifica. Guiraud indica che ciò che domina in tali processi è l’intensità del potenziale affettivo. Mette in relazione le diverse varietà delle interpretazioni con la modalità del discorso nel suo versante sistematico e segnala che quando domina l’intensità del potenziale affettivo c’è minore organizzazione logica. Tale punto sarà una costante per Lacan, espresso in differenti forme a secondo del tempo del suo insegnamento.

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Nel Seminario III Lacan farà del Nome del Padre l’ancoraggio soggettivo con la struttura del linguaggio e per questo in Una questione preliminare a ogni trattamento possibile della psicosi[v] scrive che la nevrosi o la psicosi dipendono da ciò che ha luogo nell’Altro. Lacan indica che a partire dal fatto che il soggetto parli esiste l’Altro, che è l’Altro del linguaggio. Nella psicosi si trova escluso e ciò che concerne il soggetto è detto dal piccolo altro. Il Nome del Padre è il significante che nell’Altro funziona come legge. Lacan separa i disturbi del linguaggio da quelli che appaiono sul piano immaginario a causa dell’assenza della significazione fallica. In questa maniera farà la diagnosi del linguaggio delirante attraverso il funzionamento delle parole e lo qualifica per mezzo dell’intensità del godimento in gioco. Lacan segnala che “certe parole assumono un accento speciale, una densità che si manifesta a volte nella forma stessa del significante”.[vi] Con questo si riferisce ai neologismi nella paranoia, ai due fenomeni dell’intuizione e della formula. L’enfasi speciale delle parole consente di parlare di parole chiave.

A livello del significante, nel suo carattere materiale, il neologismo con i due tipi di fenomeni menzionati arresta la significazione. L’intuizione ha un carattere pieno che inonda il soggetto e la formula si ripete come un ritornello. A livello della significazione non c’è remissione. È una significazione irriducibile, è il peso dell’ineffabile.

Lacan propone di non prendere questo come un altro linguaggio ma di trattare l’economia del discorso, che è ciò che consente di affermare che si tratta di un delirio:

  • Il rapporto da una significazione ad un’altra significazione.
  • Il rapporto con l’ordinamento logico che è comune nel discorso.

Nuovamente troviamo il doppio riferimento, il funzionamento delle parole in relazione al godimento e il rapporto tra l’ordinamento e la legge. La metafora delirante, in mancanza della metafora paterna, stabilizzerebbe il rapporto significante significato. In questo momento, allo scacco del simbolico risponde la proliferazione immaginaria.

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L’insegnamento di Lacan con il punto di capitone, l’oggetto a, la distinzione enunciato-enunciazione fornisce elementi per ubicare le particolarità del discorso, specialmente nel caso della psicosi come fuori discorso. È l’effetto della castrazione forclusa che impedisce il punto di capitone, l’estrazione dell’oggetto a e la divisione enunciato/enunciazione.

Miller[vii] ha indicato gli effetti della mancanza del punto di capitone nel discorso in relazione al fenomeno della “nebulosa” che impedisce la messa a punto del significato, generando la dimensione di eterno presente. Nella psicosi c’è l’impossibilità della memoria perché l’alterazione dell’asse temporale impedisce la storicizzazione.

A tal guisa uno dei registri discorsivi che è quello di poter parlare del passato rimane schiacciato.[viii] La storia e il rilievo non sono la stessa cosa. Non è ciò che si racconta ma piuttosto ciò che si mostra dei segni del funzionamento. Lacan precisò che il rilievo lo fornisce il più di godimento[ix] che include la castrazione.

Occorre ricordare che è l’esperienza con le psicosi ciò che porta Lacan a estrarre la funzione dell’oggetto sguardo e dell’oggetto voce. Miller puntualizza che “Questa parola annoda l’una all’altra il significato – o, piuttosto il “da significare”, ciò che è da significare – e il significante”.[x] Tale annodamento comporta sempre come terzo la voce, afona e fuori senso. La voce è una dimensione di tutta la catena significante. Occorre ricordare su questo punto l’esempio di Troia! del Seminario III.[xi]

La sig.ra M. presenta un discorso coerente, si potrebbe dire un pizzico eccessivamente colto, anche se carente di rilievo, senza sfumature. Le parole assumono un solo senso e diviene inquieta di fronte ai giochi di linguaggio. La letteralità è il meccanismo per fissare il discorso, “se ha detto a, è a” e ogni scivolamento l’infastidisce perché l’altro non rispetta ciò che dice. In altri termini, le si presentifica in qualche modo il godimento dell’Altro.

Lacan aveva già indicato nel Seminario XVII[xii] che il tessuto assume rilievo, acchiappa qualcosa, è una costruzione logica che si enuncia ed è proprio attraverso l’enunciazione che si rivela il funzionamento.

L’enunciazione è la posizione rispetto ai principi detti e permette la localizzazione del dire, si tratta di ciò che si mette in rilievo, di ciò che ha risalto. In una certa misura l’enunciazione può farsi equivalere a una versione sul reale perché sebbene sostenga un enunciato, allo stesso tempo lo decompleta e tocca il corpo. La distanza enunciato/enunciazione fa esistere l’A barrato. Nella psicosi ci sono molte sfumature che evidenziano le difficoltà con questa questione. Il sig. B, una paranoia molto discreta, si dedica alla supposta enunciazione dell’altro mentre la propria appare totalmente cancellata.

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Lacan differenzia, negli anni 70, i due versanti del linguaggio – quello della parola e quello del segno -, ed elabora con lalingua una lingua che non è per la comunicazione ma per il godimento. Il linguaggio è un derivato di lalingua che è definita come la parola prima di essere ordinata grammaticalmente e lessicograficamente. Lalingua è la parola disgiunta dalla struttura del linguaggio. È opportuno ricordare la lingua fondamentale di Schreber fatta di neologismi.

La divisione del linguaggio in lalingua e il legame sociale, torna a porre, al di là del Nome del Padre, l’elemento regolatore. Il fuori discorso della psicosi mette in questione il legame sociale che unisce la singolarità di lalingua con l’elemento standardizzato. Si può dire che il discorso del padrone prova a “normalizzare” lalingua.

L’ultimo insegnamento fa del nodo una scrittura sganciata dalla parola. Però la scrittura è sempre stata presente per Lacan. In Scritti ispirati: schizografia”[xiii] gli autori partono dal concetto di schizofasia per segnalare che in alcuni casi si manifesta solo nel linguaggio scritto. La concezione di deficit appare chiaramente esplicitato: quando il pensiero è povero, l’automatismo supplisce al deficit ed è giudicato come valido perché si richiama a un’emozione. Tuttavia si stabilisce la relazione con il surrealismo e il riconoscimento del valore poetico di certi scritti. Nel panorama della concezione deficitaria s’inscrive un plus di creatività. Questa sarà la linea che seguirà Lacan nella sua Tesi. Effettivamente, nel caso Aimée analizza i suoi scritti ai quali attribuisce un valore clinico che permetterebbe di studiare le relazioni tra delirio e personalità e, in questo caso, un valore letterale riconosciuto che si estingue a posteriori.

L’analisi del testo di Schreber gli da un carattere di testimonianza che si approssima per il suo rigore al discorso scientifico, mentre situa nel testo di Wittgenstein la ferocità psicotica. Sottolinea la notevolezza del fatto che l’Università inglese gli abbia dato un luogo a parte, isolato, che gli permetteva di ritirarsi e tornare “con il suo implacabile discorso[xiv] per salvare la verità.

È fondamentale la lettura che Lacan fa di Joyce. In Joyce osserva che la sua scrittura avrebbe la funzione del sintomo nel senso borromeo all’annodare i registri reale, simbolico e immaginario per mezzo di un quarto anello. L’uso della scrittura esprime la propria singolarità sintomatica sino al punto di produrre l’illeggibile. Lo stile di Joyce con la scrittura fa sì che disarticoli la lingua inglese, la tritura. Questa scrittura ha come funzione quella di correggere l’errore del suo nodo e farsi un Ego con essa e mantenere una relazione molto particolare con la propria immagine. Questo mette in evidenza la sua difficoltà con l’immaginario e fa sì che il reale e il simbolico entrino in coalescenza.

Joyce fornisce alla lingua un uso distinto dall’ordinario: per mezzo della scrittura scompone la parola. Lacan apre l’interrogativo riguardo a se si tratti di liberarsi del fenomeno chiacchiericcio o di lasciarsi invadere dalle proprietà fonemiche.

La funzione dello scritto, come operazione sul godimento, mette in primo piano la questione dello stile, rispetto alla quale, sin dagli inizi, Lacan ha avuto una sensibilità, dimostrata nel suo lavoro sul problema dello stile e le forme paranoiche dell’esperienza.

Sono i casi fuori discorso quelli che mostrano che, sebbene il linguaggio sia una difesa che si può utilizzare in forma distinta, il discorso consente il legame sociale e aiuta con un certo saper fare che fornisce un’apparenza normalizzata. Questa nuova suddivisione riattualizza quanto posto da Lacan sin dall’inizio, vale a dire il rapporto della singolarità dell’uso della lingua con il legame sociale che il discorso comune implica. In tal modo appare l’idea che tutti delirano però, tuttavia, e seguendo Lacan, si tratta sempre di vedere l‘ ”economia del discorso” e gli effetti creatori e di invenzione per mantenere la tensione tra questi due aspetti.

 

(Traduzione: Calogero Maurizio Di Pasquale. Revisione: Maria Laura Tkach)

 

[i] Lacan, J., Il Seminario, Libro III, Le psicosi (1955-1956), Einaudi, Torino 2010.

[ii] È opportuno ricordare il lavoro in collaborazione Scritti ispirati: schizografia, pubblicato in J. Lacan, Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità, Einaudi, Torino 1980 e, nel 1933, il saggio El problema del estilo y la concepción psiquiátrica de las formas paranoicas de la experiencia.

[iii] Lacan, J., “Discorso sulla causalità psichica” (1946), in Scritti, Einaudi, Torino 1974, p. 161-162.

[iv] Guiraud, P., “Les formes verbales de l’interprétation delirante”, La revue lacanienne 2010/1, n.6, pp. 163-174.

[v] Lacan, J., “Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi”, in Scritti, Einaudi, Torino 1974, p. 545.

[vi] Lacan, J., Il Seminario, Libro III, op. cit., p. 37.

[vii] Miller, J.-A., La conversazione di Arcachon. Casi rari : gli inclassificabili della clinica, Astrolabio Ubaldini, Roma 1999.

[viii] Lacan, J., 13-11-73. Inedito.

[ix] Lacan, J., 13-1-71. Inedito.

[x] Miller, J.-A., “Jacques Lacan e la voce”, nella Rivista La Psicoanalisi n. 46, Astrolabio, Roma 2009, p. 184.

[xi] Lacan, J., Il Seminario, Libro III, op. cit., p. 45.

[xii] Lacan, J., Il Seminario, Libro XVII, Il rovescio della psicoanalisi (1969-1970), Einaudi, Torino 2001, p.61.

[xiii] Lacan, J., Scritti ispirati: schizografia, op. cit.

[xiv] Lacan, J., Il Seminario, Libro XVII, op. cit. p. 73.